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domenica 11 novembre 2012

Il mistero e il fascino del Bosone di Higgs

Il bosone di Higgs è chiamata “particella di Dio” solo per una abbreviazione di una traduzione; infatti inizialmente nel 1964 quando Higgs disse che esisteva una tale particella, in un libro fu definita “Goddam particle” cioè particella maledetta perché non si riusciva a trovare. Per abbreviare fu scritto solo “God particle”: poiché God significa Dio, da allora si chiama particella di Dio. In realtà non è niente di religioso o ultraterreno. 

Si tratta di una presenza nella materia tra le piccole particelle sub-atomiche (all’interno dell’atomo) che è 135 volte più grande come peso di un protone. Il protone (presente nel nucleo centrale dell’atomo) ha un peso tale che per fare un grammo ne servono 100  miliardi di miliardi; pesa cioè  10 elevato alla meno 19  Kg. In realtà prima della scoperta di questa particella (detta di Dio) le varie leggi della fisica di Einstein sulla relatività, di Maxwell sulle onde magnetiche e di Max Planck sullo scambio di energia erano coerenti tra loro ma non spiegavano secondo il “modello standard” la legge di Newton sulla gravità. Cioè non spiegavano la presenza di una massa, di un peso delle varie componenti. Cioè chi dà il peso alle cose piccole o grandi? … la forza gravitazionale (la spinta verso il basso) ma in che modo.


Il bosone di Higgs (particella di Dio) spiega questo mistero. La presenza di questa particella comunica,  trasferisce,  illumina  le altre particelle e le fa diventare materiali e non vuote. Ovvero, il  bosone  di  Higgs trasmette la sua materia agli altri componenti creando i vari pesi (o masse) e facendo esistere quindi la natura così  come noi la vediamo. Ciò avviene in quanto le particelle (protoni, neutrini, elettroni, ecc.) attraversando il campo dove è presente il bosone di Higgs rallentano, perdono energia  (l‘energia cinetica, dovuta alla velocità),  e diventano pesanti, materialmente reali, consistenti e subiscono poi la forza di gravità (la spinta verso il centro della terra).

Misteriosamente soltanto i fotoni (i trasmettitori di luce) non subiscono nessun effetto per la presenza di questa particella e proseguono la loro corsa sempre alla velocità della luce (circa 300.000 Km al secondo). Sembra che la luce non si faccia influenzare dalla “particella di Dio” ma resti invece indipendente. Questa ipotesi è molto affascinante, vero? Sicuramente sarà oggetto di altri studi e ricerche da parte degli studiosi di fisica. 


Siamo ancora molto lontani dallo spiegare l’origine dell’universo. Inoltre, questa reazione tra il bosone e le altre particelle secondo i fisici è avvenuta nel primo miliardesimo di secondo dopo il “Big bang” cioè lo scoppio che ha dato origine all’universo (circa 13 miliardi di anni fa). E da quel momento il puntino che ha originato tutto si sta costantemente espandendo verso l’infinito dando origine sempre a nuove galassie più recenti. Secondo questa ipotesi esistono da qualche parte altri mondi che sono nati molti miliardi di anni dopo il nostro.   

Altre ipotesi dicono che tutto quello che esiste dopo il “Big bang” esiste anche in forma negativa (opposta) da un’ altra parte: cioè nell’universo esiste una materia negativa (detta anti-materia) che si è prodotta allo scoppio del big bang e se si ricongiunge con la materia reale tutto scompare un’altra volta nel nulla assoluto (cioè +1 - 1 = 0). Filosofia? Fantasia? Può essere… Intanto non ci sono prove né a favore né contrarie e possiamo ipotizzare di tutto.

domenica 4 novembre 2012

Il Telescopio NuStar della Nasa a caccia di buchi neri

Ha aperto gli occhi alla fine di giugno 2012, NuStar, ovvero il nuovo telescopio a raggi X delle alte energie della Nasa. E la prima cosa che ha immortalato è stato Cygnus X-1, ossia il buco nero ospite dell'omonima costellazione, a circa sei mila anni luce da qui, scaldando i motori per le successive osservazioni. Le stelle massive in formazione mostrano bolle e cavità, pilastri di nuove stelle, filamenti scuri e polvere stellare, e le regioni più chiare rappresentano i centri di formazione delle stelle. Cygnus X si trova a 4.500 anni luce dalla costellazione del Cigno, ed è la zona più attiva della nostra galassia.


Dotato di uno speciale detector, NuStar è stato costruito per andare a caccia di buchi neri. Secondo gli scienziati, infatti, due terzi di questi oggetti sarebbero nascosti dietro polveri e gas, e sfuggono alle osservazioni. NuStar poi studia l'oirigine dei raggi cosmici, la temperatura della superficie del Sole e analizza i materiali che si formano dopo l'espulsione delle stelle. Al progetto collabora l'Agenzia Spaziale Italiana. NuStar puntera’ verso stelle collassate e buchi neri, analizzera’ le regioni profonde dell’universo e quelle che circondano il centro della nostra galassia. A seguirne le operazione e’ il centro di controllo che si trova presso l’Universita’ di Berkley, mentre la missione e’ condotta dal California Istitute of Tecnology (CalTech) e gestita dal Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa. L’Italia contribuisce alla missione con l’Agenzia spaziale italiana (Asi) e l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Partner della Nasa assieme alla Danish technical university, l’Asi mette a disposizione la propria stazione di terra di Malindi in Kenya, il software di riduzione dei dati scientifici sviluppato presso l’Asdc (ASI Science Data Center) e il supporto tecnico scientifico di un gruppo di ricerca. Avra’ inoltre accesso ai dati scientifici e li mettera’ a disposizione della comunita’ astronomica italiana ed internazionale.


La navicella NuStar è stata gelosamente custodita (1,2×2,2 metri, 350 Kg) nella pacifica ogiva del 41esimo missile Orbital Sciences Pegasus XL, a sua volta agganciato alla pancia dell’aereo L-1011 “Stargazer” (in onore del capitano Jean Luc Picard della nave interstellare Enterprise, nella spettacolare serie “Star Trek Next Generation”) decollato dall’atollo corallino Kwajalein, nelle Isole Marshall dell’Oceano Pacifico centrale. La NuStar prosegue una gloriosa tradizione scientifica internazionale consolidata negli ultimi 60 anni di Astronomia X nello spazio, grazie a grandi scienziati italiani. A cominciare da Uhuru, il primo satellite X messo in orbita nel dicembre 1970, e dall’osservatorio spaziale Einstein, meglio conosciuto come HEAO-2, lanciato nel novembre 1978 grazie al lavoro geniale dell’astrofisico italo-americano Riccardo Giacconi, Premio Nobel per la Fisica del 2002 “per i contributi pioneristici nell’astrofisica nucleare, che hanno permesso di scoprire le sorgenti cosmiche X”. La NuStar, dal costo di 180 milioni di dollari (165 quelli inizialmente stanziati) è il principale progetto astrofisico nucleare della Nasa anche perché avrà vita operativa assai lunga. NUSTAR è stato progettato per funzionare per almeno due anni, possiede una risoluzione 10 volte migliore rispetto ai telescopi che lo hanno preceduto. Gli scienziati sperano che possa contribuire nella risoluzione di alcuni quesiti rigurado i buchi neri, ad esempio come si formano e come si evolvono. Anche se gli stessi buchi neri risultano invisibili (anche la luce non può sfuggire alla loro forza attrattiva gravitazionale), rilasciano grandi quantità di luce ad alta energia.

mercoledì 10 ottobre 2012

Premiati due americani con Nobel in chimica per i recettori di una proteina

Per godersi l'aroma e il sapore di una tazza di caffè, e anche il suo effetto eccitante; per rispondere a uno stimolo di paura e sentire gli effetti di una scarica di adrenalina: un battito cardiaco più forte, un metabolismo più attivo, un respiro più rapido. E ancora, per reagire a uno stimolo ambientale. Per far sì che tutto questo accada serve un'azione combinata dei milioni di cellule che costituiscono il nostro corpo, possibile solo grazie ai sensori dislocati sulla loro superficie e al loro interno. Il nostro corpo è un gruppo di miliardi di cellule che dialogano continuamente fra loro. La scoperta delle "antenne" che le cellule utilizzano per comunicare e ricevere le informazioni dall'ambiente circostante è stata premiata con il Nobel della Chimica, dato ai 2 scienziati americani Brian Kobilka, 57 anni, e Robert Lefkowitz, sessantanovenne. Essi sono stati i primi a scoprire una categoria di recettori, definiti recettori della proteina G, i quali consentono alle cellule del nostro corpo di effettuare 2 funzioni basilari per la vita, ovvero comunicare e adattarsi alle condizioni del mondo esterno. Le "antenne" svelate dai due studiosi dalla fine degli anni Sessanta permettono alle cellule di reagire a stimoli come luce, calore, odori e sapori. Ma sono anche alla base del "servizio postale" in funzione all'interno del nostro corpo, composto da sostanze come serotonina, adrenalina, istamina, dopamina e tante altre. Paura, gioia e sonno al finire della giornata sono tutte sensazioni mediate da questa classe di recettori. "Quasi il 50% dei medicinali che si consumano attualmente  -  afferma il comitato dei Nobel nella sua motivazione  -  adoperano il meccanismo dei recettori della proteina G". Ogni farmaco infatti rappresenta un "messaggio" introdotto dall'esterno per spronare l'organismo a reagire. Non è un caso che questo settore di studi sia al centro degli sforzi delle aziende farmaceutiche e di bio-tecnologia per perfezionare la produzione di betabloccanti, anti-staminici, psicofarmaci e tanti altri medicinali più efficaci e con meno effetti collaterali. Lefkowitz ha cominciato a fare ricerca in questo settore nel '68. Per comprendere come potessero le cellule percepire le variazioni del mondo esterno le ha messe in contatto con alcuni ormoni legati ad atomi radioattivi, riuscendo a scovare i recettori che li accoglievano. L'allievo Kobilka, figlio dell'epoca della genomica, 15 anni dopo ha individuato quale frammento del Dna si occupa di assemblare le "antenne" delle cellule. La coppia di scienziati americani si dividerà i novecentomila €uro del Nobel (il premio è stato decurtato di circa il 20 per cento negli ultimi dieci anni per via della crisi finanziaria). Il comitato selezionatore ha avuto qualche difficoltà a rintracciare Lefkowitz, che ha l'abitudine di dormire con i tappi nelle orecchie. C'è voluto l'intervento della moglie per svegliarlo e far giungere la novella a destinazione. Kobilka, passato alla Stanford University nel 1989, e' conosciuto soprattutto per le sue ricerche sulla struttura e attivita' dei recettori accoppiati a proteine G; in particolare per aver determinato la struttura molecolare del recettore beta-2-adrenergico, un lavoro molto citato dai suoi colleghi scienziati per le sue ricadute farmaceutiche. Questo lavoro ha anche ricevuto il premio "Breakthrough of the Year" da parte della rivista scientifica 'Science' nel 2007. «Quando una persona ti chiama in piena notte (in California) e ti dice che hai vinto il Nobel, pensi a uno scherzo», ha commentato Kobilka. «Ma quando ti chiamano cinque persone con un marcato accento svedese per congratularsi con te, capisci che non è uno scherzo». Al di là degli aspetti più emotivi, la scoperta - è facile capire - ha applicazioni enormi: per le case farmaceutiche si tratta di un vero e proprio «Graal» per creare medicine più efficaci, mirate sul bersaglio delle malattie da colpire. E i successi sono già tanti. «Circa la metà dei farmaci in uso attualmente - ha scritto il comitato dei Nobel nella sua motivazione - sfruttano il meccanismo dei recettori della proteina G». Tra gli esempi, i beta-bloccanti, gli antistaminici e gli psicofarmaci. Nei giorni scorsi sono stati resi noti i nomi dei vincitori anche del Nobel per la medicina, andato al britannico John Gurdon e al giapponese Shinya Yamanaka per i loro studi sulle cellule staminali, e per la fisica, andato al francese Serge Haroche e l'americano David Wineland per i loro lavori sui "metodi sperimentali innovativi per la misurazione e la manipolazione di singoli sistemi quantistici".

lunedì 23 luglio 2012

Tra 17 miliardi di anni l'universo si ridurrà in brandelli

La fine dell'Universo avverrà tra 16,7 miliardi di anni, quando ci sara' un 'grande strappo' provocato dall'energia oscura, ovvero la forma ancora misteriosa di energia che costituisce il motore dell'espansione dell'universo e che lo occupa per il 70 per cento. Lo affermano i fisici teorici dell'Accademia cinese delle scienze, in base ai calcoli da loro elaborati e pubblicati sulla rivista Science China: l'energia oscura condurrà l'Universo ad espandersi fino a provocare 'strappi' che lo ridurranno in brandelli. Rivedendo alcuni dei parametri di una delle ipotesi cosmologiche piu' accreditate sul destino dell'Universo, il ''Big Rip'' o grande strappo, gli studiosi cinesi hanno determinato che il tempo ancora a disposizione prima della 'morte' dell'Universo sia attorno ai 17 miliardi di anni. In una inesorabile catena di eventi, la Via Lattea si smembrera' 33 milioni di anni prima della 'fine', mentre la Terra verra' prima strappata via dalla sua orbita e infine, 16 minuti prima della morte dell'Universo, sarà dissolta. La visione catastrofistica e' la diretta conseguenza della recente teoria denominata ''Big Rip'' ed elaborata nel 2003, sulla base delle conoscenze attuali sull'espansione accelerata dell'Universo. Si sa infatti a partire dagli anni Novanta che l'universo, nato dal ''Big Bang'' o grande esplosione 13,7 miliardi di anni fa, sia soggetto ad un'espansione rapida, ossia si espanda in modo 'forzato', sotto la 'spinta' prevista in principio dai modelli teorici della relativita' e oggi identificata come energia oscura, una sorta di energia del vuoto che 'allarga' lo spazio e che costituirebbe il 70% dell'Universo. Secondo la teoria del Big Rip, a causa dell'espansione accelerata ogni oggetto fisico, a partire dalle galassie ai pianeti e agli esseri viventi fino agli atomi, verra' lentamente 'stirato'; letteralmente fatto a pezzi e ridotto a singole particelle elementari che continueranno ad allontanarsi tra loro in una sorta di gas sempre meno denso, in un lento e inesorabile strappo. Studiando alcuni dei parametri legati al destino dell'Universo, in modo particolare la relazione fra pressione e densita' della materia oscura, i ricercatori hanno sviluppato uno scenario futuro in cui, con un livello di fiducia del 95 per cento, il tempo ancora a disposizione per l'Universo sia al massimo 17 miliardi di anni.