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domenica 4 novembre 2012

Il Telescopio NuStar della Nasa a caccia di buchi neri

Ha aperto gli occhi alla fine di giugno 2012, NuStar, ovvero il nuovo telescopio a raggi X delle alte energie della Nasa. E la prima cosa che ha immortalato è stato Cygnus X-1, ossia il buco nero ospite dell'omonima costellazione, a circa sei mila anni luce da qui, scaldando i motori per le successive osservazioni. Le stelle massive in formazione mostrano bolle e cavità, pilastri di nuove stelle, filamenti scuri e polvere stellare, e le regioni più chiare rappresentano i centri di formazione delle stelle. Cygnus X si trova a 4.500 anni luce dalla costellazione del Cigno, ed è la zona più attiva della nostra galassia.


Dotato di uno speciale detector, NuStar è stato costruito per andare a caccia di buchi neri. Secondo gli scienziati, infatti, due terzi di questi oggetti sarebbero nascosti dietro polveri e gas, e sfuggono alle osservazioni. NuStar poi studia l'oirigine dei raggi cosmici, la temperatura della superficie del Sole e analizza i materiali che si formano dopo l'espulsione delle stelle. Al progetto collabora l'Agenzia Spaziale Italiana. NuStar puntera’ verso stelle collassate e buchi neri, analizzera’ le regioni profonde dell’universo e quelle che circondano il centro della nostra galassia. A seguirne le operazione e’ il centro di controllo che si trova presso l’Universita’ di Berkley, mentre la missione e’ condotta dal California Istitute of Tecnology (CalTech) e gestita dal Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa. L’Italia contribuisce alla missione con l’Agenzia spaziale italiana (Asi) e l’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf). Partner della Nasa assieme alla Danish technical university, l’Asi mette a disposizione la propria stazione di terra di Malindi in Kenya, il software di riduzione dei dati scientifici sviluppato presso l’Asdc (ASI Science Data Center) e il supporto tecnico scientifico di un gruppo di ricerca. Avra’ inoltre accesso ai dati scientifici e li mettera’ a disposizione della comunita’ astronomica italiana ed internazionale.


La navicella NuStar è stata gelosamente custodita (1,2×2,2 metri, 350 Kg) nella pacifica ogiva del 41esimo missile Orbital Sciences Pegasus XL, a sua volta agganciato alla pancia dell’aereo L-1011 “Stargazer” (in onore del capitano Jean Luc Picard della nave interstellare Enterprise, nella spettacolare serie “Star Trek Next Generation”) decollato dall’atollo corallino Kwajalein, nelle Isole Marshall dell’Oceano Pacifico centrale. La NuStar prosegue una gloriosa tradizione scientifica internazionale consolidata negli ultimi 60 anni di Astronomia X nello spazio, grazie a grandi scienziati italiani. A cominciare da Uhuru, il primo satellite X messo in orbita nel dicembre 1970, e dall’osservatorio spaziale Einstein, meglio conosciuto come HEAO-2, lanciato nel novembre 1978 grazie al lavoro geniale dell’astrofisico italo-americano Riccardo Giacconi, Premio Nobel per la Fisica del 2002 “per i contributi pioneristici nell’astrofisica nucleare, che hanno permesso di scoprire le sorgenti cosmiche X”. La NuStar, dal costo di 180 milioni di dollari (165 quelli inizialmente stanziati) è il principale progetto astrofisico nucleare della Nasa anche perché avrà vita operativa assai lunga. NUSTAR è stato progettato per funzionare per almeno due anni, possiede una risoluzione 10 volte migliore rispetto ai telescopi che lo hanno preceduto. Gli scienziati sperano che possa contribuire nella risoluzione di alcuni quesiti rigurado i buchi neri, ad esempio come si formano e come si evolvono. Anche se gli stessi buchi neri risultano invisibili (anche la luce non può sfuggire alla loro forza attrattiva gravitazionale), rilasciano grandi quantità di luce ad alta energia.

giovedì 4 ottobre 2012

Scoperti inavvertitamente due buchi neri che viaggiano in coppia nella Via Lattea

Un team di astronomi statunitensi era alla ricerca di un buco nero ma ne ha trovati due, posti a dieci mila anni luce dal nostro Pianeta. A questo punto, risultano di conseguenza sconvolte le teorie della maggior parte degli scienziati, le quali adesso appunto vanno riviste. Come nelle maggiori tradizioni scientifiche, i ricercatori hanno effettuato una scoperta involontaria. Gli scienziati sono stati colti di sorpresa quando si sono accorti di trovarsi davanti a due buchi neri con all'incirca dieci-venti volte una massa stellare più grande del nostro Sole. Essi si trovano intorno all'ammasso globulare M22, che contiene migliaia di stelle una accanto all'altra, come riferisce il quotidiano '' Telegraph ''. Tutta questione di gravità: è per via di questa forza che gli ammassi stellari si creano e hanno una certa forma e che i buchi neri catturano tutta la materia e la luce che entra all’interno del loro orizzonte degli eventi. Ed è per via di questa forza che si pensava che in ogni ammasso stellare globulare non potesse esserci più di uno solo di questi oggetti onnivori. James Miller-Jones dell'International Centre for Radio Astronomy Research, a capo dello studio, afferma: "Eravamo alla ricerca di un grosso buco nero e invece ne abbiamo trovati due più piccoli leggermente decentrati" dice , che aggiunge "eravamo veramente sorpresi, perché la maggior parte dei teorici erano concordi che ce ne dovesse essere al massimo uno". Questa scoperta del tutto sorprendente ha fatto si che ora tutte le teorie e le varie simulazioni vadano nuovamente riprese e rivisitate, ha concluso James Miller-Jones. L'ammasso Messier 22, in teoria, avrebbe dovuto possedere al suo centro al massimo un buco nero a massa intermedia, ossia un buco nero piu' piccolo di quelli supermassicci che si trovano nel cuore delle galassie, e con una massa pari a quella del Sole o solo qualche volta quella del Sole. "Le simulazioni della storia di questi tipi di cluster che abbiamo finora elaborato mostravano tutte la possibilita' della presenza iniziale anche di molti buchi neri che poi, in una sorta di danza caotica l'uno attorno all'altro, finivano per collassare e fondersi fra loro fino a lasciare un unico buco nero sopravvissuto", continua James Miller-Jones. Gli astronomi, dunque, andavano alla ricerca di un grande buco nero al centro dell'ammasso, e invece hanno trovato due piccoli buchi neri leggermente distanti dal cuore del cluster, segno che "le teorie e i modelli usati finora debbano essere raffinati", ha concluso Miller-Jones. Il meccanismo di espulsione di questi oggetti celesti dall’immenso campo gravitazionale sarebbe dunque meno efficiente di quanto si riteneva in precedenza, e per questo motivo il numero di buchi neri negli ammassi potrebbe non ridursi soltanto a uno o due, ma in gruppi delle dimensioni di M22 potrebbe arrivare forse anche a centinaia. I due buchi neri comunque non sono di grandi dimensioni. La loro massa stellare è circa 10-20 volte quella del Sole, non intermedia come speravano gli autori del ritrovamento, già fin troppo fortunati per essere stati testimoni di un evento mai accaduto prima d'ora, che stravolge le conoscenze e i modelli considerati attendibili sull'evoluzione di questi densi sistemi stellari. Una teoria è che i buchi neri stessi gradualmente si siano espansi nelle parti centrali del cluster, riducendo la densità e quindi il tasso al quale un buco nero possa espellere l'altro attraverso questa 'danza gravitazionale'. Ciò significa che all'interno di un ammasso possono coesistere da cinque a un centinaio di buchi neri. Un caso di serendipità, questo ritrovamento, reso ancor più sorprendente dallo strumento grazie al quale i due buchi neri sono stati individuati: le 27 radioantenne del VLA, il Very Large Array dell’NRAO, il National Radio Astronomy Observatory americano. Sorprendente, dicevamo, perché mai prima d’ora s’era scoperto un buco nero in un ammasso globulare direttamente grazie a un’osservazione in onde radio. La scoperta è stata pubblicata sulla celebre rivista scientifica '' Nature ''.