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mercoledì 15 gennaio 2014

Difficili interazioni tra betabloccanti e the verde

Brutte notizie per i cultori del tè verde e che soffrono di pressione alta. Questa bevanda, infatti, può indebolire gli effetti di un antipertensivo, il nadololo. Lo hanno rilevato gli studiosi giapponesi che hanno realizzato un piccolo studio pubblicato su 'Clinical Pharmacology & Therapeutics'. I test su dieci volontari hanno evidenziato che l'efficacia del medicinale è ridotta in chi assumeva the verde in concomitanza con il farmaco. Un meccanismo confermato anche da studi di laboratorio. Dunque i ricercatori evidenziano l'importanza di tener conto di questa interazione. Come per altri medicinali, il foglietto illustrativo che accompagna il nadololo avverte che alcuni farmaci, tra cui i rimedi a base di erbe, possono interagire con l'azione dell'antipertensivo. Ebbene, tra questi occorrerebbe inserire anche il the verde. Secondo gli scienziati, un paio di tazze di questa bevanda sarebbero sufficienti per ottenere l'effetto messo in luce dalla ricerca.


«Gli individui che assumono Nadololo e consumano anche tè verde, dovrebbero essere consapevoli di questa potenziale interazione e discuterne con il loro medico», spiega il dottor Gregg Fonarow, professore di cardiologia presso l’Università della California a Los Angeles (UCLA) e portavoce dell’Heart Association Americana.  È bene comunque dire che Fonarow ha basato questa dichiarazione esclusivamente vedendo i risultati, ma senza aver preso parte allo studio, che è stato condotto in collaborazione con altre università presenti in Germania e Italia. Indubbiamente il tè verde non è l’unico alimento-bevanda che interagisce con questo o altri farmaci. Non possiamo non citare l’ormai famoso succo di pompelmo che, come da tempo si sa, potrebbe aumentare notevolmente l’effetto di un farmaco se assunto in concomitanza di quest’ultimo.


L’ipertensione è un male moderno e i farmaci contro la pressione alta sono molto diffusi e utilizzati, soprattutto dagli over cinquanta. Per tale motivo è bene conoscere l’interazione che anche alimenti o bevande d’uso comune possono avere con questa tipologia di medicinali.

Dai risultati è emerso che i consumatori di tè verde mostravano un valore ematico inferiore del 76 per cento rispetto a chi aveva bevuto solo acqua, tanto da far dire al coordinatore dello studio Shingen Misaka: “i pazienti trattati con Nadololo dovrebbero evitare di assumere il tè verde”. Il tè verde, ovviamente, non è l'unico alimento a presentare un'interazione potenzialmente pericolosa con i farmaci. Va ricordato, ad esempio, il caso del pompelmoIl Nadololo, peraltro, è utilizzato anche per l'angina, il dolore toracico e altre patologie cardiache. Da qualche tempo viene usato anche per l'emicrania e il morbo di Parkinson. (by ItaliaSalute.it)
  fonte: http://it.notizie.yahoo.com/salute-verde-altera-effetti-pillola-per-la-pressione-164000262.html

mercoledì 10 ottobre 2012

Premiati due americani con Nobel in chimica per i recettori di una proteina

Per godersi l'aroma e il sapore di una tazza di caffè, e anche il suo effetto eccitante; per rispondere a uno stimolo di paura e sentire gli effetti di una scarica di adrenalina: un battito cardiaco più forte, un metabolismo più attivo, un respiro più rapido. E ancora, per reagire a uno stimolo ambientale. Per far sì che tutto questo accada serve un'azione combinata dei milioni di cellule che costituiscono il nostro corpo, possibile solo grazie ai sensori dislocati sulla loro superficie e al loro interno. Il nostro corpo è un gruppo di miliardi di cellule che dialogano continuamente fra loro. La scoperta delle "antenne" che le cellule utilizzano per comunicare e ricevere le informazioni dall'ambiente circostante è stata premiata con il Nobel della Chimica, dato ai 2 scienziati americani Brian Kobilka, 57 anni, e Robert Lefkowitz, sessantanovenne. Essi sono stati i primi a scoprire una categoria di recettori, definiti recettori della proteina G, i quali consentono alle cellule del nostro corpo di effettuare 2 funzioni basilari per la vita, ovvero comunicare e adattarsi alle condizioni del mondo esterno. Le "antenne" svelate dai due studiosi dalla fine degli anni Sessanta permettono alle cellule di reagire a stimoli come luce, calore, odori e sapori. Ma sono anche alla base del "servizio postale" in funzione all'interno del nostro corpo, composto da sostanze come serotonina, adrenalina, istamina, dopamina e tante altre. Paura, gioia e sonno al finire della giornata sono tutte sensazioni mediate da questa classe di recettori. "Quasi il 50% dei medicinali che si consumano attualmente  -  afferma il comitato dei Nobel nella sua motivazione  -  adoperano il meccanismo dei recettori della proteina G". Ogni farmaco infatti rappresenta un "messaggio" introdotto dall'esterno per spronare l'organismo a reagire. Non è un caso che questo settore di studi sia al centro degli sforzi delle aziende farmaceutiche e di bio-tecnologia per perfezionare la produzione di betabloccanti, anti-staminici, psicofarmaci e tanti altri medicinali più efficaci e con meno effetti collaterali. Lefkowitz ha cominciato a fare ricerca in questo settore nel '68. Per comprendere come potessero le cellule percepire le variazioni del mondo esterno le ha messe in contatto con alcuni ormoni legati ad atomi radioattivi, riuscendo a scovare i recettori che li accoglievano. L'allievo Kobilka, figlio dell'epoca della genomica, 15 anni dopo ha individuato quale frammento del Dna si occupa di assemblare le "antenne" delle cellule. La coppia di scienziati americani si dividerà i novecentomila €uro del Nobel (il premio è stato decurtato di circa il 20 per cento negli ultimi dieci anni per via della crisi finanziaria). Il comitato selezionatore ha avuto qualche difficoltà a rintracciare Lefkowitz, che ha l'abitudine di dormire con i tappi nelle orecchie. C'è voluto l'intervento della moglie per svegliarlo e far giungere la novella a destinazione. Kobilka, passato alla Stanford University nel 1989, e' conosciuto soprattutto per le sue ricerche sulla struttura e attivita' dei recettori accoppiati a proteine G; in particolare per aver determinato la struttura molecolare del recettore beta-2-adrenergico, un lavoro molto citato dai suoi colleghi scienziati per le sue ricadute farmaceutiche. Questo lavoro ha anche ricevuto il premio "Breakthrough of the Year" da parte della rivista scientifica 'Science' nel 2007. «Quando una persona ti chiama in piena notte (in California) e ti dice che hai vinto il Nobel, pensi a uno scherzo», ha commentato Kobilka. «Ma quando ti chiamano cinque persone con un marcato accento svedese per congratularsi con te, capisci che non è uno scherzo». Al di là degli aspetti più emotivi, la scoperta - è facile capire - ha applicazioni enormi: per le case farmaceutiche si tratta di un vero e proprio «Graal» per creare medicine più efficaci, mirate sul bersaglio delle malattie da colpire. E i successi sono già tanti. «Circa la metà dei farmaci in uso attualmente - ha scritto il comitato dei Nobel nella sua motivazione - sfruttano il meccanismo dei recettori della proteina G». Tra gli esempi, i beta-bloccanti, gli antistaminici e gli psicofarmaci. Nei giorni scorsi sono stati resi noti i nomi dei vincitori anche del Nobel per la medicina, andato al britannico John Gurdon e al giapponese Shinya Yamanaka per i loro studi sulle cellule staminali, e per la fisica, andato al francese Serge Haroche e l'americano David Wineland per i loro lavori sui "metodi sperimentali innovativi per la misurazione e la manipolazione di singoli sistemi quantistici".