venerdì 21 settembre 2012

Pericolo contaminazione: mucche allevate con antibiotici

Uno studio conferma i rischi derivati dalla somministrazione di farmaci agli animali da allevamento. E dimostra che gli antibiotici utilizzati per agevolare la crescita degli animali abbassano l'attività dei batteri che favoriscono la conservazione nel tempo di alimenti di origine animale, come i salami, e non intaccano i germi che invece possono scatenare malattie infettive. Lo afferma un team di studiosi delle Università di Copenaghen e di Cork, con una ricerca pubblicata su ''mBio'', la rivista della società americana di Microbiologia. In laboratorio, gli scienziati hanno 'curato' con due comuni antibiotici (oxitetraciclina o entromicina) dei campioni di carne contaminati con batteri 'buoni', in grado di produrre acido lattico e quindi di favorire la conservazione delle carni, e con dei ceppi patogeni. Risultato? i batteri 'buoni' non riuscivano a svilupparsi e a rendere l'alimento salubre, mentre i ceppi capaci di provocare malattie si replicavano senza problemi. ''Questo dato conferma quanto i microbiologi europei sostengono da anni e cioè che gli antibiotici vanno banditi dalla catena alimentare'', spiega Lorenzo Morelli, preside della Facoltà di Agraria dell'Università Cattolica di Piacenza. E l'Unione Europea ha al vaglio nuove linee-guida più restrittive. Il motivo per il quale gli allevatori, soprattutto i proprietari di allevamenti intensivi, adoperano tali tipi di farmaci sta nella circostanza che polli, conigli, pecore, maiali, mucche, ma anche pesci, e così via, chi più chi meno, hanno comunque un sistema immunitario fortemente depresso a causa delle loro terribili condizioni di vita: spazi limitatissimi, luce continua 24 ore al giorno, alimentazione forzata, e maltrattamenti vari derivanti dalla meccanizzazione. Chiaramente lo stress cui sono sottoposti li rende irrimediabilmente soggetti a malattie il cui solo rischio “costringe” l’allevatore all’utilizzo di antibiotici per scopi non terapeutici e quasi in funzione preventiva. Il nostro latte è prodotto da vacche chiuse in spazi angusti nei capannoni, nutrite artificialmente con pastoni e antibiotici, malate di brucellosi, spaventate, torturate con innaturali cicli notte-giorno, dalle mammelle sanguinolente e doloranti. E quelle poche che pascolano brucano vicino alle discariche, mangiano foraggio transgenico, bevono acqua inquinata. Spesso il latte viene comprato dall’estero in paesi dove c’è ancora meno controllo e mischiato al latte nostrano. Due anni fa, L. H. Petit riferì la storia di una bambina di Ginevra, che morì di tubercolosi intestinale e mesenterica, senza che si potesse determinare donde le fosse pervenuta la malattia; soltanto una ricerca più diligente mise in chiaro, che la tazza di latte fresco, che soleva bere ogni giorno, proveniva da un podere, nel quale, di cinque mucche apparentemente sanissime, quattro furono riconosciute tubercolose. La contaminazione del cibo (carne e latte bovino) avviene attraverso le feci dell’animale, ma anche tramite l’acqua. Il maggior fattore di rischio è rappresentato dal consumo di carne macinata di manzo cruda o poco cotta. Va da sé che la riduzione del consumo di carni nella nostra dieta può senz’altro contribuire ad un miglioramento della nostra salute anche in chiave preventiva oltreché evitare a priori il rischio di un’assunzione eccessiva di antibiotici ed altre sostanze chimiche.

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