lunedì 5 novembre 2012

La luce delle stelle 'nonne' del Sole catturata nella "nebbia" cosmica dell'Universo primordiale

Il telescopio spaziale "Fermi" della Nasa misura la nebbia cosmica dell'Universo primordiale. Si tratta delle antenate del Sole, sono le prime stelle ad aver brillato nell'universo. Gli astronomi auspicano di osservarle direttamente tramite i telescopi di nuova generazione, ma per ora lo studio di questi affascinanti fossili cosmici si basa su misure indirette. Come quella appena realizzata grazie a "Fermi", ossia il telescopio spaziale della NASA dedicato allo studio dei raggi gamma di origine cosmica. La luce emessa dalle stelle nelle varie ere cosmiche riempie infatti lo spazio, interagendo con i raggi gamma derivanti dalle galassie più lontane e generando in tal modo un "effetto nebbia" osservabile dagli strumenti di Fermi. Lo studio è stato guidato da Marco Ajello e Giovanni Caldara, giovani studiosi operativi al Kavli Institute for Particle Astrophysics and Cosmology dell'Università di Stanford. Questo risultato, apparso sulla celebre ''Science'', dà una misura della luce emessa dalle differenti generazioni di stelle, agevolando le esplorazioni delle fasi di formazione stellare nella storia dell'Universo.


Quando "Fermi" osserva l'emissione di raggi gamma da galassie molto lontane, le vede più fioche. La situazione è simile a quando guardiamo i fari di un'auto immersa nella nebbia. Ma qual è l'origine di questa "nebbia cosmica"? I raggi gamma sono "pacchetti di luce" molto simili alla luce visibile ma estremamente più energetici. Ad esempio "Fermi" può osservare raggi gamma con energia di milioni fino a centinaia di miliardi di volte quella della luce visibile. Questi "pacchetti di luce", o fotoni, possono essere distrutti dall'interazione con altri fotoni, ad esempio di luce visibile o ultravioletta. Le leggi della Fisica ci insegnano infatti che in questo scontro i due fotoni vengono convertiti in una coppia particella-antiparticella, in questo caso un elettrone e un positrone. Nel loro percorso nello spazio, i raggi gamma possono quindi subire queste interazioni e venire assorbiti, lasciando pochi sopravvissuti capaci di raggiungere i nostri telescopi. Il risultato è che l'immagine in raggi gamma delle galassie più lontane ci appare più debole. Questo assorbimento è particolarmente importante per i raggi gamma di altissima energia, ad esempio superiore a 25 miliardi di volte l'energia della luce visibile. Il vero responsabile di questa nebbia cosmica è quindi la luce di fondo emessa dalle stelle nel corso delle epoche cosmiche, detta dagli astronomi "luce extragalattica di fondo". 


Per analizzare gli effetti della luce extragalattica di fondo è infatti importante osservare galassie molto lontane. In questo caso infatti i raggi gamma devono infatti attraversare miliardi di anni luce e hanno così più possibilità di interazione. Le sorgenti di raggi gamma più adatte a questo obiettivo sono sicuramente i blazar, remote galassie che ospitano al loro centro un buco nero supermassivo, che inghiotte materia convertendola in radiazione di alta energia, fra cui i raggi gamma osservabili con "Fermi". Fra le quasi 2000 sorgenti di raggi gamma osservate da "Fermi", Ajello e colleghi hanno selezionato un campione di 150 blazar particolarmente brillanti nei raggi gamma di altissima energia. L'effetto della luce extragalattica di fondo è infatti molto difficile da misurare usando una singola galassia, pertanto i ricercatori hanno raccolto le osservazioni di tutti i 150 blazar e le hanno combinate in modo da evidenziare in modo chiaro l'assorbimento dei raggi gamma. Gli astronomi sono a conoscenza del fatto che osservare lontano nello spazio equivale a guardare indietro nel tempo, perché la luce impiega un tempo finito a giungere fino a noi, portandoci un'immagine "in differita" dell'universo. Le osservazioni di Fermi hanno dunque consentito di stimare la luce extra-galattica di fondo in una fase che va da circa 9,6 miliardi di anni fa fino ad oggi. 


Dalle osservazioni è emerso così che la densità media delle stelle in queste epoche cosmiche è pari a circa 1,4 stelle per ogni cento miliardi di anni luce cubi. Questo vuol dire che nell'Universo la distanza media fra una stella e l'altra nel cosmo è di quasi quattromila anni luce. “Non siamo ancora in grado di stabilire quando la prima stella iniziò a brillare, ma abbiamo sbirciato nell'epoca in cui il nostro universo si stava formando” ha dichiarato Marco Ajello, coautore dello studio e astrofisico all'Università di Stanford. I risultati del telescopio “Fermi”, quindi, ci avvicinano all'individuazione dell'attimo in cui si accese la prima stella e potranno aiutarci a fare chiarezza sul periodo buio dell'universo che precedette la prima luce – e anche sullo stesso Big Bang. Il periodo di 400 milioni di anni di buio assoluto che seguì il Big Bang rimane una sorta di “scatola nera scientifica”. Scoprire più precisamente cosa abbia portato alla formazione delle stelle – e quindi alla luce- sarà il compito, entro la fine del decennio, di diversi telescopi di enormi dimensioni e molto sofisticati.
( a cura di massimiliano razzano da La Repubblica )

Nessun commento:

Posta un commento