domenica 18 novembre 2012

I social network modificano il nostro cervello: siamo meno concentrati?

E' un cambiamento progressivo, invisibile, inevitabile. Connessioni che si attivano, aree che si atrofizzano, altre che si sviluppano. Capacità che migliorano, abilità che si perdono. Accade ogni qualvolta che mandiamo un sms, leggiamo una e-mail, sfogliamo l'edizione web di un quotidiano, scarichiamo un video, postiamo un contenuto su un blog o su Facebook, affettiamo al volo un frutto virtuale sullo smartphone.


Che sia un bene o un male, non è ancora dato sapere. Certo è che l'era digitale incide, pesantemente, sulla nostra attenzione, sulla nostra memoria, sulla concentrazione e sul ritmo dei nostri pensieri. E incide pesantemente sul comportamento, soprattutto degli adolescenti che scambiano il web con la vita reale. Perchè modifica in modo permanente l'organo bombardato dal flusso initerrotto di informazioni: il nostro cervello. Un cervello da web, dicono per esempio i ricercatori dello University College di Londra, ha una quantità superiore di materia grigia nell'amigdala. Sarà vero? No, secondo gli scienziati della Jiao Tong University Medical School di Shangai: nel cervello degli Internet-dipendenti (una sindrome che ha anche il suo acronimo, Iad, e dal maggio 2013 anche un paragrafo dedicato nel prossimo Dsm-IV, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) si trova una anomala quantità di materia bianca - i fasci di fibra nervosa rivestiti di mielina che garantiscono il collegamento tra l'encefalo e il midollo spinale - nelle aree preposte all'attenzione, al controllo e alle funzioni esecutive.


Come del resto si osserva anche nei cervelli dei dipendenti da alcool e sostanze stupefacenti, nonchè nei compulsivi giocatori di videogiochi. Ovvio, dicono i neurofisiologi: ogni esperienza, di qualunque tipo essa sia, modifica il cervello: navigare sul web, ma anche bere una tazza di tè, provoca dei cambiamenti a livello neuronale. Come un qualunque organo sottoposto ad allenamento, anche il cervello può essere plasmato e rafforzato con della buona ginnastica mentale. Eppure, l'uso di Internet è così recente, così diffuso e così rapidamente in aumento, che appare legittimo interrogarsi sul modo in cui questa eterna e continua connessione influenzi il modo di pensare della specie umana.  La tesi del giornalista americano Nicholas Carr riprende concetti già elaborati dal teorico della comunicazione Marshall McLuhan: non solo i media modellano il processo del pensare, ma lo fanno in modo subdolo, facendoci perdere alcune delle capacità che hanno contraddistinto sino ad oggi la nostra specie.

fonte: '' L'Espresso '', pag. 66, 22 novembre 2012, articolo di elisa manacorda

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