sabato 13 ottobre 2012

Frammenti di plastica provocano l'ermafroditismo delle balene

Trovare un oggetto di plastica galleggiante in mare dà fastidio, ma quando la plastica non si vede può essere anche peggio, soprattutto per le nostre amiche balene. Questo lo evidenzia uno studio effettuato da un team facente capo all'università di Siena, e appena comparso sul '' Marine Pollution Bulletin ''. L'invasione di frammenti di plastica nel Santuario dei cetacei - cioè l'area protetta situata tra la Corsica, la Costa Azzurra e la Toscana - mette in pericolo la sopravvivenza delle balene. Nelle micro-particelle di plastica sono presenti infatti, - afferma Maria Cristina Fossi, ossia la biologa che ha guidato la ricerca finanziata dal Ministero dell'Ambiente - gli ftalati e altri distruttori endocrini. Si tratta delle sostanze che alterano gli ormoni sessuali, generando una tendenza all'ermafroditismo che può mettere in pericolo la sopravvivenza dei grandi gruppi di cetacei. Questa minaccia chimica è consistente in quanto le micro-particelle di plastica inferiori a cinque millimetri, prodotte dalla degradazione di sacchetti e di altri oggetti e da attività industriali, nel Mar Mediterraneo hanno una concentrazione simile a quella delle aree del Pacifico in cui, per via di un particolare gioco di correnti, si creano le grandi isole di plastica galleggianti. "Ora desideriamo approfondire gli effetti tossicologici dell'inquinamento da plastiche non soltanto sulla balenottera comune ma anche sulle tartarughe, sullo squalo elefante e sui pesci che vivono sul fondale marino, come la sogliola", conclude Maria Cristina Fossi. "Abbiamo proposto all'Unione europea di adottare i cetacei e la tartaruga caretta caretta come indicatori delle stato di salute del Mediterraneo con lo scopo, che l'Europa si propone di realizzare entro il 2020, di riportare il Mare Nostrum a un buono stato ambientale". La ricerca mostra per la prima volta il rapporto tra questo inquinamento diffuso e gli effetti sui grandi mammiferi del mare dimostrando che i distruttori endocrini sono assunti in dosi rilevanti: ai test sulle balene spiaggiate si sono aggiunti quelli condotti sui cetacei in libertà (con un dardo modificato è possibile catturare un piccolo frammento di pelle, sufficiente per le analisi). Ogni qual volta che una balena apre la bocca ingurgita infatti ben settanta mila litri di acqua e nell'acqua del Santuario dei cetacei ci sono due particelle di plastica di lunghezza inferiore ai 5 millimetri ogni 2 metri cubi. Inoltre i distruttori endocrini risalgono la catena alimentare anche passando mediante il plancton di cui si nutrono le balene. Le femmine di balena danno alla luce normalmente dieci piccoli lunghi dai 5 ai 7 m. Sono dei placentati. Nella maggior parte delle balene la maturità riproduttiva giunge tardi, tipicamente a sette-dieci anni. Questa strategia fornisce ad ogni nuovo nato un'alta percentuale di sopravvivenza. La maggior parte delle specie di grandi balene sono a rischio di estinzione a causa della caccia a cui sono sottoposte. Tuttavia sono i delfini di fiume i cetacei che attualmente rischiano di più da questo punto di vista, soprattutto a causa dell'antropizzazione del loro habitat naturale. Questi cambiamenti sono nella maggior parte dei casi determinati dal crescente sviluppo economico come la costruzione di sbarramenti e dighe per scopi di irrigazione o produzione di elettricità. Le balene sono discendenti dei mammiferi che vivevano sulla terraferma. I loro antenati hanno iniziato ad adattarsi alla vita acquatica approssimativamente cinquanta milioni di anni fa.

Nessun commento:

Posta un commento