venerdì 26 ottobre 2012

Le Alpi crescono: la placca africana spinge la placca europea

Tutta colpa della placca africana. Che spinge, spinge senza tregua verso nord andando a collidere con la placca europea, provocando terremoti, come nel maggio scorso in Emilia, e modificando il profilo delle nostre catene montuose. In particolar modo l'Arco Alpino. Che cresce al ritmo di circa 14 centimetri in 50 anni: in media 2,8 millimetri l'anno. Il fenomeno è noto da tempo, la novità sta però nell'entità della crescita, misurata da geologi italiani e svizzeri e confluita in uno studio reso noto il mese scorso dall'Ufficio di rilevamento geodetico della provincia di Bolzano. ''Lo studio è importante perchè riguarda non solo le vette, ma l'intera crosta del nostro Paese'', spiega Claudio Carraro, dell'Ufficio di Geologia della Provincia di Bolzano. ''Le misurazioni sono state fatte non solo sui rilievi altoatesini (Dobbiaco è passato da 1.215.334 metri del 1962 a 1,.215.461 metri; Passo Drava da 1.125.699 a 1.125.833 metri; Passo Resia da 1.496.494 a 1.496.594), ma anche a fondo valle (Bressanone è salita dai 572.968 a quota 573.085). I tecnici si sono basati sui segnali residui della precedente misurazione topografica, eseguita cinquant'anni fa sulla base di punti geodetici fissi (edifici, rilievi), anche se alcuni di questi nel frattempo sono andati distrutti perchè fissati magari su edifici demoliti o su zone successivamente edificate. Anche nelle zone di fondo valle risulta lo stesso innalzamento medio del terreno''. Il che vuol dire, se il trend di spostamento dell'Africa verso l'Europa dovesse continuare, che fra 339 anni l'Ortles potrebbe diventare la prima montagna dell'Alto Adige a toccare i 4 mila metri. Lo studio si occupa nel dettaglio dei rilievi alto-atesini, tuttavia il fenomeno riguarda l'intera catena montuosa delle Alpi, dalla Francia all'Ungheria. ''E in parte'', dice Carraro ''tocca anche l'Appennino, soprattutto il fronte nord, dove la micro-placca della zona adriatica si allunga sotto la Pianura Padana e va a spingere nella zona delle Prealpi venete, provocando anche qui un lento ma progressivo innalzamento della superficie''. I ricercatori hanno studiato i depositi minerali di stalattiti e stalagmiti di alcune grotte alpine che sorgono a circa 2500 metri di quota. Con un modello basato sugli isotopi hanno stimato l’elevazione subita dalle grotte nel corso degli anni e quindi il sollevamento della superficie della montagna. Poi lo hanno confrontato con l’erosione degli agenti atmosferici e gli effetti delle glaciazioni, per giungere ad una stima definitiva della crescita delle montagne. Sembrano valori relativamente piccoli, ma basta un semplice calcolo per comprendere che non è proprio così. Se il sollevamento della catena alpina dovesse continuare a un tasso di un millimetro all' anno significa che in soli mille anni si solleverà di un metro e di ben 100 metri in 100.000 anni, che in termini geologici è un tempo piccolissimo. E il fenomeno potrebbe portare anche a un aumento dell' attività sismica nell' intera zona alpina. Ma quali conseguenze può avere una simile scoperta? Giovanni Caldara dice: «Questo risultato è importante perché riduce del 50 per cento il tasso di deformazione della catena alpina attribuibile a processi geologici attivi». In altre parole, significa che le Alpi non si stanno sollevando solo in seguito alla spinta dell' Africa verso il continente europeo, un fenomeno che avviene lentamente, ma anche a causa di un fenomeno che evolve molto velocemente in termini geologici, qual è il ritiro dei ghiacciai. Ma qual è il legame che esiste tra ritiro dei ghiacciai e i terremoti? Spiega Goran Ekstrom, geologo alla Harvard University, che da anni studia il ritiro dei ghiacciai della grande isola: «La crosta con i suoi ghiacciai galleggia sul sottostante mantello come un pezzo di sughero che trasporta un peso galleggia sull' acqua. Se al pezzo di sughero viene tolto il peso esso tende a salire. La stessa cosa succede alla crosta terrestre, ma ciò si verifica aumentando lo stress all' interno delle rocce che si può scaricare attraverso i terremoti». Il fenomeno è già ben visibile in Groenlandia. «La scomparsa dei ghiacci groenlandesi ha raddoppiato in pochi anni il numero dei terremoti che si verificano su quest' isola. Fino al 2002 si verificavano non più di 15 sismi all' anno, ma nel 2003 i sismologi ne hanno registrati 20, nel 2004 sono saliti a 24 e nel 2005 a 32». - fonte: Il Venerdì, di andrea gaiardoni

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